Tutti abbiamo qualcuno con cui ci sentiamo per avere uno scambio di opinioni, un confronto, una sfida ad un’idea che ci suona strana, un consiglio per delle situazioni in cui ci infiliamo al lavoro. Capita che qualche volta io sia quello che viene chiamato e la cosa mi piace, perché è bello pensare che quello che hai da dire ha valore per qualcuno e che puoi aiutare a formare un pensiero o un punto di vista e magari trovare una soluzione ad un problema. Col tempo il mio angolo* è diventato quello di una persona che legge i fenomeni sociali, spesso dinamiche organizzative, in modo non convenzionale.
Non è che io cerchi per forza un punto di vista alternativo. Più che altro sono una persona curiosa e mi interrogo sul perché delle cose. E poi odio l’idea della banalità, soprattutto odio l’idea di essere banale. Questo atteggiamento che ho in generale nelle cose, nel mondo delle organizzazioni mi ha fatto mettere in discussione un sacco di assunti del management tradizionale così come te lo insegnano a scuola e come lo impari anche per emulazione di realtà che vedi o in cui maturi esperienza.
Credo che la maggior parte delle organizzazioni funzioni con delle logiche che sono così solo perché chi le ha introdotte le ha sempre viste fare così e in qualche modo funzionavano. Pochi si interrogano veramente se si può fare diversamente e meglio.
Come prendiamo decisioni, assumiamo, valutiamo, organizziamo, incentiviamo, promuoviamo, facciamo crescere, lasciamo liberi di agire o controlliamo le persone dipende da modelli gestionali propagati con una logica da copia e incolla. Triste.
Un po’ per provare a mettere in fila e distillare qualche pensiero, ho pensato a questo spazio per condividere le riflessioni su queste tematiche. Come e con che frequenza? Non lo so.
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Il potere dei soldi
Com’è come non è, era un pezzo che volevo provarci e poi ho letto sta cosa incredibile e mi sono detto che era il momento giusto …
(Premetto che non sono un tifoso dell'Inter. Per fortuna tengo per l'altra squadra di Milano come ci definiva il compianto Avvocato Prisco. Avrei comunque detto lo stesso se quest'idea sciagurata fosse stata del Milan.)
I fatti sono più o meno questi: c’è una squadra di calcio, l’Inter, che quest'anno ha avuto tanti alti e tanti bassi. Capita. L'allenatore è in continua alternanza tra essere un genio e vivere sull'orlo dell'esonero. La squadra ha il secondo più alto monte ingaggi del campionato italiano, che in sintesi significa che questi giocatori stanno già prendendo un sacco di soldi per fare un bel lavoro (non che guadagnare bene e/o fare un bel lavoro sia una colpa, sono felice per loro; la mia è una pura constatazione).
Questo gruppo di persone sta giocando male e sicuramente non è per carenza di talento e non credo si possa nemmeno ipotizzare una mancanza di motivazione: il futuro, il successo, i guadagni di questi ragazzi dipende da quanto bene fanno il loro lavoro. Alternano partite e vittorie epiche a sconfitte senza senso. Il fatto è che la squadra di calcio è anche e soprattutto un’azienda che ha come obiettivo minimo quello della qualificazione alla Champions League. L’obiettivo, dato per scontato a inizio anno, oggi è in dubbio e questo mette a rischio budget e sostenibilità per il prossimo anno. Potrebbe essere un disastro economico oltre che sportivo ed emotivo per milioni di tifosi. Non stiamo parlando di bucare un KPI del 2%, ma di un cacchio di disastro! Il tipo di incubo che dovrebbe mettere tutti super focalizzati e allineati sull’obiettivo: “dobbiamo centrare la qualificazione ad ogni costo”.
Ti aspetteresti che questo tipo di motivazione fosse di tipo intrinseco, cioè basata sull’interesse stesso per l’attività e il piacere di farla e di raggiungere il successo. E invece…
Il modello di management tradizionale prescrive che se tu metti un bell’incentivo le persone saranno ancora più motivate e la loro performance migliora. Ma è sempre vero? I lavori richiedono sempre lo stesso tipo di ingaggio e possiamo trattarli tutti allo stesso modo?
La dirigenza dell’Inter sembra pensarla così e infatti la soluzione a cui stanno pensando è quello di introdurre un premio per incentivare la qualificazione. Cioè in sintesi: “caro giocatore, oltre ai 5-10 milioni di euro (netti, che calcolare le tasse è un casino e non ti voglio far fare confusione) che ti pago per giocare, ti do altri 100-200k (immagino, se no di cosa stiamo parlando?) se ci qualifichiamo e raggiungiamo un obiettivo che fino a pochi mesi fa era considerato l’ultimo di quelli accettabili. Vai, corri!”.
Cosa guida la nostra motivazione
La scienza ha ampiamente dimostrato che non è così che funziona la mente umana: ci sono compiti semplici, ripetitivi, che non richiedono particolare sforzo di inventiva o assunzione di rischio che possono in effetti essere incentivati con premi in denaro. Ma il denaro come fonte di incentivazione per stimolare un comportamento che abbia un minimo di necessità di coraggio, talento e inventiva è l'ultima delle soluzioni. Anzi è dimostrato che peggiora la performance perché chiude la prospettiva e indirizza in maniera ottusa il comportamento delle persone.
In un TED talk diventato abbastanza famoso, Daniel Pink in pochi minuti racconta l’essenza di “cosa la scienza sa e il management ignora” su cosa guidi la motivazione delle persone e di quanto sia controproducente introdurre incentivi economici in molti casi.
Mi rendo conto di rischiare di sembrare naïf ma non riesco proprio a capire come sia anche solo da prendere in considerazione un opzione del genere. Stai pagando sicuramente a valore di mercato il talento di questi professionisti e ritieni che non stiano performando adeguatamente. Può essere che la tua soluzione sia di mettergli una carota più grande davanti al naso?
Non riesco a non pensare che se fossi al posto della management dell’Inter e avessi minimamente il dubbio che la motivazione di questi giocatori non fosse già alta e che potrebbe alzarsi con un premio che innalza del 5% il già ricco compenso, li manderei via tutti in un attimo.
Per la cronaca, non ho niente contro i premi (in qualunque forma, incluso il denaro). Penso che le aziende che condividono upside e rischio variabilizzando una parte del compenso facciano una cosa sensata, ma nella mia testa classifico questa pratica più che altro come profit sharing.
Tre cose che mi porto a casa:
le scienze sociali sono una cosa strana: anche se ci sono tonnellate di evidenze ed esperimenti alla fine non siamo mai del tutto convinti. L’opinione vale più della scienza.
La forza dell’abitudine è sottovalutata. È una zona di comfort. “Si è sempre fatto così, fanno tutti così, ci sarà un motivo” è più forte di tutto.
L’organizzazione è come la formazione della nazionale di calcio, tutti pensiamo di essere il commissario tecnico e di saper fare quella giusta.
Tre cose che vi lascio portare a casa:
Oltre al video di Daniel Pink, autore americano con una formazione da avvocato, vale senz’altro la pena di leggere uno dei suo libri più famosi: Drive. Cosa guida la nostra motivazione.
Un’altro TED Talk, questa volta di Dan Ariely, professore di psicologia ed economia comportamentale della Duke University, che spiega benissimo cosa ci fa apprezzare il lavoro e racconta di come sia banale e distorta l’idea di considerare le persone che lavorano come dei topi in un labirinto.
Un articolo sull’Harvard Business Review di Alfie Kohn, un autore e docente americano nei settori dell'istruzione, della genitorialità e del comportamento umano, che documenta come ci siano molti studi anche in ambito aziendale che dimostrano l’inefficacia o addirittura la dannosità dei sistemi di incentivazione.
*Slant è il nome che un caro amico aveva pensato per un altro progetto che è diventato molto importante per me. Mi era subito piaciuto come nome e mi fa piacere poterlo usare con quella logica di avere un’opinione sulle cose. Grazie Matteo.
Pensando tra me e me, riflettevo su quanto lo schema della ricompensa sia presente nelle nostre vite. Tutti noi abbiamo sperimentato nel nostro piccolo i premi dei nostri genitori che c'incentivano o mangiare le verdure o a fare i compiti, a tenere in ordine la stanza, etc – con altrettanti premi, paghetta, videogiochi, rimanere svegli un'ora in più. La realtà è che la soluzione più semplice che il sistema economico sociale ci ha sempre proposto. Posso acquistare velocemente ciò che mi fa stare bene — o almeno lo crediamo, senza grossi sacrifici avendo una certa quantità di potere/denaro.
Perfetto, avere una moneta di scambio ci ha permesso di fare cose incredibili in termini di evoluzione sociale se confrontata con quelle del baratto, lì per avere il prodotto tanto atteso devi oggettificare una produzione fisica o creativa, diciamo una quantità di sforzo che difficilmente è scalabile. Insomma, nel baratto ci pensi due volte in più a definire il valore dell'accordo.
Ora, in qualsiasi azienda for profit ma in realtà anche quello no profit a fine anno fanno tutti delle bellissime presentazioni con numeroni: come siamo cresciuti, quanto abbiamo fatturato, quanto abbiamo perso e quanto potremmo fare il prossimo anno. Il fine sembra sempre quello, fare più denaro, poco importa di come. Raramente ho visto se non in casi notevoli, dei ragionamenti puntuali di come ci si è arrivati a quei numeri, di un'analisi precisa di come si è lavorato dal punto di vista motivazionale sulle persone. Cosa ha comportato una scelta direzionale. Insomma, nei classici casi mi sembra di vedere una cecità lapalissiana che dimentica d'innaffiare le proprie piante. Non discuto di quanto sia importante parlare della propria crescita economica, anzi dovremmo parlare proprio di quello definendo quale sia la maniera più efficiente per farlo.
Credo che il classico modello di management sia figlio di un concetto economico primitivo che ha bisogno assolutamente di una evoluzione, difficile ma non impossibile.
Grazie per lo spunto